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Giovani e network sociali

Secondo il Digital Entertainment Survey 2008, i giovani inglesi passano oltre il 30% del loro tempo frequentando siti Web per il social network come MySpace e Facebook con gravi effetti sui compiti e sulla televisione.

La ricerca sottolinea infatti come i ragazzi inglesi tra i 15 e i 19 anni abbiano praticamente abbandonato i programmi televisivi in favore del 2.0; questo fattore sta influenzando pesantemente anche la destinazione degli investimenti pubblicitari.

Ora la questione cruciale è scoprire se questi ragazzi che non guardano la Tv diventeranno degli adulti emancipati dal piccolo schermo, dalla risposta a questa domanda dipende il destino dell’advertising.

fonte: mrwebmaster.it

La pubblicità diventa uno show

Il “branded entertainment marketing” si sta imponendo accanto alle forme di promozione tradizionali, per catturare i giovani.

Il cosiddetto “branded entertainment marketing” cresce, anche a discapito dell’advertising tradizionale, soprattutto quando si tratta dell’universo giovane. Si tratta di una forma di marketing, conosciuta anche come advertainment, che si attua associando un brand con un programma audio-video, e che può sfruttare come media la Tv, la radio e, soprattutto, il Web.
A dirlo è una recente survey americana PQ Media. Nell’ultimo anno la spesa in queste forme di marketing è aumentata più del doppio di quanto non abbia fatto negli ultimi cinque. Una progressione che parla di contemporaneità e che porta il valore delle conseguenti azioni di comunicazione nell’ultimo anno a 22,3 miliardi di dollari.
Molteplici sono i fattori che ne generano la spinta: l’aumento del tempo speso fuori casa, ma anche quello passato online al lavoro comunicando con wireless device e interagendo con molti media, anche contemporaneamente. Oggi il problema è costituito, infatti, dalla massa sempre più consistente di questi consumatori. Si parla di massa anche se al suo interno questo popolo mostra comportamenti differenziati, al punto da definire nicchie specifiche, difficilmente omologabili.
Ecco alloira che si rende necessaria la definizione di tattiche alternative. In primo luogo gli eventi, creati ad hoc o inseriti in programmi di sponsorizzazione di happening esistenti. Rappresentano il segmento più ricco del branded entertainment, con gli investimenti 2007 in crescita del 12,2% a quota 19,18 miliardi, puntando tutto sulla forza di un engagement face to face. A seguire il product placement che, affilando le sue armi con proposte sempre più contestualizzate nella tipologia di ‘racconto’ prescelto, vede aumentare i suoi investimenti del 33,7%, a quota 2,90 miliardi.

L’ascesa degli show sul Web
Infine, advergaming e webisodes, particolarmente interessanti quando in gioco c’è la conquista dei giovani. Sono soprattutto i secondi a catturare l’attenzione: mini episodi di serie o di show televisivi pensati direttamente per il web e realizzati o dalle major, inizialmente anche per amplificare l’audience televisiva, o dagli stessi fan delle produzioni in oggetto. Si tratta di un mercato ancora esiguo se considerato in termini di valore assoluto (217 milioni di dollari) ma sicuramente interessante per potenzialità. Soprattutto perché rappresenta un segmento ancora poco sfruttato, benché dal 2002 a oggi abbia convinto il 51,7% in più. Per quanto riguarda le previsioni del 2008, la situazione non contraddice la dinamicità attesa: gli eventi puntano a quota 9 miliardi, il product placement a 3,5 (+ 25%) e l’advergaming e il webisodes mostrano tendenze di crescita nell’ordine del 46%. Il tutto si traduce in 40 miliardi di dollari complessivamente prospettati per il branded entertainment marketing del 2012.

fonte: ilsole24ore.com

Troppo trash, tv in crisi: adesso la pubblicità scopre il Web

La presa di distanza dalle tv generaliste, come veicolo pubblicitario, appare altrettanto impetuosa quanto è stato lungo, perdurante l’innamoramento nei loro confronti. Che ha indotto a far ricorso alla pubblicità televisiva con presenze assai superiori a quelle registrate in qualsiasi altro Paese. Forse è stato il lungo monopolio pubblicitario della tv pubblica, con le difficoltà di accesso e le tante restrizioni imposte arbitrariamente, a generare una sorta di sindrome da astinenza, con il risultato poi di gonfiare di messaggi commerciali l’anomalo duopolio televisivo italiano. Ma tutto ciò appartiene ormai al passato.

La parola d’ordine oggi è che lo spot da 30 secondi con cui molte aziende hanno costruito i loro successi stia per divenire un reperto archeologico e che Internet rappresenti l’indiscussa grande opportunità come media pubblicitario. Le ragioni, più che una comprovata inefficacia dei tradizionali investimenti, sono da accreditare alla forte perdita di pubblico da parte delle televisioni generaliste; ad una programmazione che, per rallentare l’emorragia , insiste sempre più su programmi nazional popolari che sfociano nel trash. Ma la motivazione più autentica è l’impetuoso emergere di Internet. Male inteso e ancor peggio interpretato.

La crisi, salutare, del mezzo televisivo – anche se ci penserei due volte a buttare via il fantolino insieme alla tanta acqua sporca del bagnetto dovrebbe forse imporre, prioritariamente, la riconsiderazione di mezzi tradizionali sino ad ora ingiustamente sottovalutati nella pianificazione pubblicitaria. Media certamente svantaggiati sotto il profilo della audience – un peccato mortale per il mondo della pubblicità miopemente ammal(i)ato di quantificomania, di numeri, costi GRP – ma che hanno saputo costruire una relazione privilegiata con il loro pubblico, una autorevolezza che si riverbera sui contenuti della pubblicità.

E’ mai possibile che non esistano nel nostro Paese – a fronte di investimenti davvero enormi per quantificare il pubblico raggiunto – studi o ricerche che mettano in evidenza lo specifico comunicativo, l’efficacia comparativa dei diversi mezzi? Una recente indagine condotta da Ambrosetti, con il supporto di Procter&Gamble e di Reckitt Benkiser, su un campione di inserzionisti pubblicitari indica che il 55% di questi considera poco o per niente utili i dati e le ricerche attualmente disponibili ai fini delle strategie di pianificazione. Capita così che media di grande interesse, e tutti da riscoprire – come i quotidiani, il cinema, lo stesso new deal delle affissioni – perché incomprensibilmente penalizzati dalla pregressa bulimia da tv, non beneficino adesso di una maggiore attenzione.

Che Internet sia uno straordinario veicolo per dialogare con il consumatore è fuori luogo. Che si possa on line instaurare con questo una relazione che non ha precedenti, correggere la tradizionale asimmetria informativa, è certamente vero. Ma vi sono molti indizi che queste potenzialità, vitali per una rifondazione del marketing, non vadano necessariamente ad alimentare la cassetta degli attrezzi della pubblicità. Che, sino ad ora, si è prevalentemente esercitata nel mondo web riproponendo, in maniera davvero anacronistica, modalità stantie che la caratterizzano off line.

Utilizzando prevalentemente i banner, nelle loro molte espressioni, come fossero manifesti: magari alla stregua di ipertesto. Le sperimentazioni condotte sono state certamente molte e anche di grande interesse. Ma, appunto, sperimentazioni: i risultati conseguiti, tanto orgogliosamente ostentati, mai seriamente documentati se non millantati. I cybernauti considerano Internet come una grande opportunità per migliorare il proprio sapere, per semplificare la propria vita e per implementarne la qualità. Ma sono sempre meno disposti a dedicare tempo a intrusioni non sollecitate e insofferenti verso chi lo fa. Forse si dovrebbe prendere davvero consapevolezza che quello che gli anglosassoni chiamano “interruption marketing” – la continua invasione di messaggi commerciali, che sino ad ieri consideravamo come un inevitabile scotto da pagare – è ormai sul viale del tramonto. E chi naviga nel mondo Web ne è il più convinto assertore.

fonte: digital-sat.it

Giornali e web, è corsa agli spot

Se le notizie sono gratis, chi paga i giornalisti? È la domanda che si è posto Peter Preston sull’Observer di domenica scorsa. Le scuole di giornalismo sono piene – dice il giornalista inglese – e quasi tutti gli studenti dicono di aspirare a lavorare per la carta stampata, possibilmente per un quotidiano. In tutto questo c’è un paradosso: la maggior parte dei britannici sotto i 20 anni non compra giornali. I giovani – e non solo nel Regno Unito – si informano, ma lo fanno sui siti web dei grandi quotidiani o sfogliando la free press che viene distribuita in un numero crescente di città europee e americane. Indicativo il caso francese: secondo i dati riportati ieri da Le Monde (che parla anche di «effetto Sarkozy», riferendosi alla “fame di notizie” dei francesi, dovuta sia alle elezioni politiche e amministrative, sia alla vita privata del presidente) il gratuito 20 Minutes è diventato, con 2,53 milioni di lettori al giorno, il più letto di Francia, battendo L’Equipe, prestigioso quotidiano sportivo, ovviamente a pagamento, che si ferma a 2,3 milioni di lettori.
Ma torniamo alla domanda dell’Observer: chi pagherà i giornalisti del futuro? O, guardando la questione dal punto di vista degli editori e dei loro azionisti, da dove verranno ricavi e utili? Il modello di business tradizionale dell’editoria prevede un mix di ricavi formato da abbonamenti e vendite in edicola e pubblicità. Chi ha spostato l’informazione su internet, però, ha imparato che il primo termine dell’equazione di fatto è sparito. L’unico grande quotidiano che mantiene un accesso a pagamento al sito è il Wall Street Journal, tutti gli altri fanno pagare solo la consultazione degli archivi o di particolari approfondimenti (è il caso del Financial Times). C’è chi ha provato il modello a pagamento, ma poi ha fatto marcia indietro, come il New York Times: a eccezione di alcune parti degli archivi dal 1923 al 1986, la maggior parte del sito e degli articoli pubblicati sulla versione cartacea dal 1851 a oggi, dal settembre 2007 non è più a pagamento. La motivazione è semplice: la pubblicità (sull’intero sito e sugli archivi) paga più degli abbonamenti ai premium content.
Il secondo termine dell’equazione dei ricavi, la pubblicità, resiste dunque all’uragano internet? È presto per dirlo: gli introiti da annunci sul web non sono ancora sufficienti per coprire i costi di gestione di un sito. Neanche a pensare, quindi, che possano contribuire a sostenere le edizioni cartacee. Secondo il Global entertainment and media outlook di PricewaterhouseCoopers nello scorso anno la pubblicità online, negli Stati Uniti, ha assorbito l’8% del mercato, raccogliendo circa 35 miliardi di dollari. Da qui al 2010 dovrebbe crescere del 18% all’anno, arrivando a 51,6 miliardi, pari al 9,3% circa del mercato complessivo (che continuerà a essere dominato dalla televisione). Gli ultimi dati sui quotidiani americani risalgono al settembre 2007: i ricavi pubblicitari complessivi del secondo trimestre dello scorso anno sono calati dell’8,6%, pari a quasi un miliardo di dollari, ma la componente online è cresciuta del 19,3%, toccando i 795,7 milioni di dollari e il sorpasso della pubblicità su internet ai danni della carta stampata è atteso entro il 2010. In Italia, la crescita della pubblicità online dovrebbe essere ancora maggiore: secondo i dati Nielsen resi noti il 5 dicembre scorso, nel 2008 la raccolta complessiva sarà di circa 9 miliardi di euro: la televisione crescerà del 2,4%, la radio del 3,8%, i periodici dell’1,4%, i quotidiani dello 0,1%, le affissioni dello 0,3%, il cinema dello 0,7% e internet del 33,1% (contro il 40% del 2007).
Le potenzialità del mercato pubblicitario online sono confermate dalle mosse di Google, Yahoo! e Microsoft. Il 13 aprile 2007 Google ha acquistato per 3,1 miliardi di dollari Doubleclick. Trascorse poco più di due settimane, il 30 aprile, Yahoo! ha messo le mani su Right Media per 680 milioni. E il 17 maggio 2007 il colosso pubblicitario Wpp Group ha rilevato 24/7 Real Media per 649 milioni. Microsoft non è stata a guardare, offrendo 6 miliardi di dollari, in contanti, per il controllo di aQuantive, uno degli operatori di pubblicità online più dinamici del mercato statunitense. E il 1° febbraio l’azienda di Bill Gates e Yahoo! hanno annunciato un’alleanza per studiare piattaforme di pubblicità online e contrastare così lo strapotere di Google.
Gli editori sembrano però convinti che le edizioni cartacee abbiano un futuro e continuano a investire per creare nuovi prodotti (si veda l’articolo a fianco) e per rendere i loro prodotti più appetibili a lettori e inserzionisti: oltre all’introduzione di nuovi formati (la percentuale di tabloid è passata dal 10% del 2004 al 40% del 2006), molti quotidiani hanno introdotto il full color (facendo considerevoli investimenti in rotative) e hanno ridisegnato graficamente l’ impianto delle pagine. È successo anche in Italia: Repubblica, Corriere della Sera, Stampa e Sole 24 Ore hanno rivoluzionato la grafica e lavorato sui contenuti e lo stesso ha fatto la Gazzetta dello Sport, il più letto quotidiano italiano, che entro il primo semestre di quest’anno adotterà il full color.
Fatta salva la fiducia nella carta stampata, la parola magica nei piani di sviluppo dei gruppi editoriali è multimedialità. Il che significa riorganizzare i contenuti e le redazioni. Sul New York Times, ad esempio, sono sparite da oltre un anno le pagine di Borsa sulle quotazioni azionarie, per riapparire in forma di pacchetti interattivi sul sito. Stessa scelta per il Los Angeles Times, che ha tavole riassuntive in una sola pagina con le quotazioni delle 1.300 azioni più scambiate e per il Chicago Tribune, che ha eliminato le tabelle azionarie sostituendole con un condensato di dati su fondi, titoli e società di importanza locale.
Un’altra frontiera, forse a sorpresa, sono i file audio e i podcast, adottati da testate come Economist e New Yorker e che hanno un successo crescente anche per i quotidiani, perché sono ascoltabili ovunque, in macchina o magari mentre si fa jogging. Per Daniel Weber, del quotidiano svizzero Nzz, «i lettori, soprattutto quelli sotto ai 30 anni, ci ascoltano mentre vanno al lavoro e si affezionano al prodotto». Solo in Svizzera, Folio, prodotto audio – a pagamento – della Nzz, ha migliaia di abbonamenti. Come ha scritto la Süddeutsche Zeitung, quotidiano di Monaco di Baviera, «il lettore dei sogni di ogni giornale, quello che legge sempre lo stesso quotidiano ignorando la concorrenza, non esiste più». I giornali stanno diventando mezzi di comunicazione che suppliscono alla crescente mancanza di tempo del lettore. Per raggiungerlo devono trasformarsi in moderne e multimediali Dee Kalì, capaci di “servire” l’informazione su tante diverse piattaforme.

fonte: ilsole24ore.com

Entro il 2009 Internet sarà il terzo mass media

L’advertising sui media evolve: nel 2007 il mercato pubblicitario Usa ha registrato 450 miliardi di dollari.

Idate fotografa il mercato pubblicitario Usa sui media. Un mercato da 450 miliardi di dollari nel 2007, in crescita del 5.2%, ma in piena evoluzione.

Web 2.0 e advertising mobile stanno cambiando il panorama pubblicitario. Tv e stampa continuano a fare la parte del leone, ma l’Online advertising cresce a cifra doppia al ritmo del 32.4%, mentre la pubblicità su carta stampata stagna a +0.8%.

A livello mondiale la pubblicità sul Web dovrebbe crescere del 76% entro il 2009, contro il 16% della pubblicità in TV e il 9.5% della pubblicità sulla stampa tradizionale. Entro il 2009 Internet sarà il terzo mass media, dietro a Tv e carta stampata.

fonte: vnunet.it

Online Advertising: quanto è lunga la coda della click economy?

Riflessioni sul futuro del mercato della ricerca su Internet e l’evoluzione del rapporto tra motori di ricerca e online advertising. I motori (gratuiti) devono continuare ad essere capaci sia di massimizzare il valore degli investimenti degli advertisers nella pubblicità online, sia di continuare a soddisfare al meglio le esigenze di ricerca dei loro utenti.

Durante il recentissimo SMX West 2008 si è discusso di Economia del Search, ed alcuni economisti che sono intervenuti, di cui qualcuno interno a Google ed a Yahoo!, hanno parlato del futuro del mercato della ricerca su Internet, toccando tematiche relative all’evoluzione del rapporto esistente tra motori di ricerca ed online advertising, stante il fatto che tali motori (ricordo che sono gratuiti) devono continuare ad essere capaci sia di massimizzare il valore degli investimenti degli advertisers nella pubblicità online, sia di continuare a soddisfare al meglio, nel contempo, le esigenze di ricerca dei loro utenti.

Nel corso di uno specifico panel sull’argomento si è perciò discusso, naturalmente, di ricerca sponsorizzata e di Pay per Click (PPC), ed a tale proposito Hal Varian di Google ha parlato del modello economico proprio del programma AdWords, nonché delle long tail keywords.

Ed esattamente su AdWords, Google sta ora beta testando una nuova funzionalità denominata “Automatic Matching”, una funzionalità implementata tramite un algoritmo che ha la seguente funzione: fare in modo che ciascuna campagna pubblicitaria creata all’interno del programma diventi capace di utilizzare il maggior numero possibile di keywords pertinenti, delle keyword che, non solo su base storica, verranno “suggerite” alla campagna dall’algoritmo stesso in maniera automatica, così da andare ad incrementare potenzialmente il numero di clicks che quella campagna sarà in grado di generare; e ciò comporta ovviamente anche l’attingere automaticamente dal budget inutilizzato dalla campagna medesima.

Tramite “Automatic Matching” Google punta ovviamente a far leva sulle keywords di long tail, cercando di applicare al meglio il motto “The more keywords the better”, sebbene non sia ancora del tutto chiara la funzione catalizzatrice che questo nuovo meccanismo automatico potrà avere sugli effettivi clicks generati da ciascuna campagna pubblicitaria: va detto pure però che non sono mancate le critiche, anche aspre.

Ultimamente, inoltre, il modello Pay per Click sta suscitando diverse preoccupazioni tra gli advertisers, non essendo evidentemente più foriero di tantissime conversioni, e più di qualcuno sta cominciando a pensare che tale modello abbia già imboccato la strada dell’obsolescenza.

C’è stato pure il recente rilascio del report “Natural Born Clickers”, da parte Starcom, Tacoda e comScore, i cui dati hanno evidenziato che gli heavy clickers (i cliccatori “pesanti” cioè) rappresentano soltanto il 6% degli utenti Internet negli USA, e che il comportamento di questa esigua percentuale di ‘cliccatori’ provoca di fatto una distorsione dei risultati prodotti dalle metriche di misurazione del click-through, fatto che probabilmente ha sconcertato non poco gli esperti di web analytics.

Ancora, l’ultimo report annuale di Click Forensics ha rivelato la crescita costante delle frodi nei clicks, con i clicks fraudolenti che nel 2007 hanno registrato un incremento del 15% (+16,6% nel quarto trimestre), e dallo stesso rapporto risulta inoltre che addirittura 1/3 del totale dei clicks sulla pubblicità online potrebbe essere “fasullo”: l’India è il Paese da cui proviene la più alta percentuale di clicks fraudolenti, seguita dalla Germania e dalla Corea del Sud.

Scendendo invece “sul campo”, è proprio il modello pubblicitario basato sul Pay per Click quello che attualmente sembra funzionare meglio di altre forme di pubblicità online, forse anche perché relativamente economico, e per quanto concerne i motori di ricerca, più del 50% delle queries eseguite sugli stessi si ripete almeno una volta a settimana, il che dimostra ampiamente l’esistenza di una long tail del Search, quindi di una coda lunga per la quale la click economy sarebbe ben lungi dall’essere un’economia in fase di declino, visto che al suo interno esisterebbero ancora degli ampissimi spazi inesplorati di ottimizzazione e di rendita.

Da ultimo, infine, va però sottolineato che esiste anche una ricerca denominata “What are the most effective ways to advertise in the new medium?”, una ricerca condotta da Chan Yun Yoo (Assisant Professor alla University of Kentucky’s School of Journalism and Telecommunications) e pubblicata sul Journalism and Mass Communication Quarterly, e che aveva lo scopo di valutare gli effetti che la pubblicità online esercita sulla memoria umana esplicita ed implicita.

Ebbene, la suddetta ricerca è praticamente giunta alle seguenti conclusioni: “qualsiasi pubblicità presente all’interno di una pagina web impatta sostanzialmente allo stesso modo sulla memoria degli individui, indipendentemente dal fatto che quella stessa pubblicità sia cliccata oppure no”.

fonte: i-dome.com

Google penalizza l’advertising-lumaca

Nelle prossime settimane gli utenti di AdWords vedranno calare i Quality Score se non metteranno il turbo al caricamento delle pagine Web ads.

Google ha deciso di penalizzare l’advertising-lumaca.

Nelle prossime settimane gli utenti di AdWords con advertising lento vedranno calare i Quality Score, utilizzati per piazzare le inserzioni tra i link sponsorizzati.

I Quality Score verranno penalizzati se l’advertising online è su pagine che impiegano troppo tempo a caricarsi. Gli inserzionisti hanno un mese

di tempo per mettersi in regola e aggiungere  il turbo al caricamento delle pagine Web ads. Il caricamento lento è causato da server-lumaca o molteplici redirect.

fonte: vnunet.it

Quattro acquirenti su 10 cambiano idea sugli acquisti dopo una ricerca online

Quanto conta il web negli acquisti degli europei: molto secondo i dati diffusi dall’EIAA (European Interactive Advertising Association) nello studio “Mediascope Europe 2007″, gestito da SPA e condotto da Synovate.
Con oltre 7.000 persone intervistate in Europa, l’EIAA Mediascope Europe Study è uno degli studi di ricerca più completi sul modo in cui le persone dedicano il proprio tempo ai media in Europa e su come i consumatori utilizzano Internet per contenuti, comunicazioni e acquisti.
“La nostra ricerca evidenzia le potenzialità di Internet nell’influenzare le decisioni di acquisto dei consumatori”, ha dichiarato Alison Fennah, Executive Director di EIAA. “Un numero crescente di acquirenti usufruisce della convenienza e dei vantaggi economici offerti dallo shopping online e utilizza Internet per le decisioni di acquisto end-to-end, dalla ricerca al pagamento.”

“I venditori devono quindi comprendere come attrarre l’attenzione dei consumatori attraverso questo processo”.
L’indagine, che ha analizzato a fondo i trend ed i modelli di spesa degli acquirenti online in Europa, ha messo in luce l’esistenza di un legame tra la penetrazione del web e le fonti utilizzate nelle ricerche propedeutiche agli acquisti. L’evolversi del livello di ricercatezza dei mercati online nei paesi europei porta gli acquirenti a sfruttare le diverse fonti di informazione per decidere i loro acquisti. Fonti che hanno un peso a volte determinante nella scelta di un prodotto/marchio. Si tratta di una tendenza già in atto che sta spingendo i diversi venditori che operano sul web ad elaborare nuove strategie di aggressione dei mercati e di attrazione della clientela, potenziale e fidelizzata.

LE DECISIONI DI ACQUISTO
Dopo aver effettuato una ricerca online i consumatori europei tendono a cambiare idea, soprattutto nel caso di prodotti elettronici (il 59% ha cambiato idea sul marchio) e di pacchetti vacanze e viaggi (il 43%). Nel dettaglio delle diverse realtà europee, tuttavia, è emersa una maggiore propensione al cambiamento delle decisioni di acquisto da parte di utenti britannici e danesi. Ultimi gli italiani che solo nel 27% dei casi rivede le proprie decisioni (visualizza classifica).

LE FONTI DI INFORMAZIONE PIU’ UTILIZZATE SUL WEB
I motori di ricerca sono ritenuti di poco più utili (76%) delle segnalazioni personali (72%). Il 61% considera i siti web con i confronti di prezzi un’utile fonte di informazioni. Oltre la metà (59%) degli acquirenti online, inoltre, considera i siti web di marchi noti una fonte importante per recuperare informazioni utili per valutare e, successivamente, acquistare un prodotto/servizio. Il 57% legge le recensioni dei clienti dei siti Web prima di effettuare la sua scelta.

I PRODOTTI PIU’ ACQUISTATI NELLE TRANSAZIONI ON LINE
Cresce la tendenza ad utilizzare la rete per effettuare i propri acquisti. L’80% degli utenti Internet europei ha acquistato online un prodotto o servizio (+3% vs. 2006 e +100% vs. 2004). I dati relativi alla spesa media pro capite è di € 747,00. Nel 2007 rispetto al 2006 è aumentato significativamente non solo il numero di acquisti, ma anche la percentuale di acquirenti online di prodotti e servizi specifici, soprattutto per l’acquisto di prodotti tecnologici o finanziari:

+ 33% per l’acquisto di cellulari
+ 22% per i prodotti finanziari
+ 18% per i mobili
+ 13% per gli accessori auto
+ 11% per i pacchetti vacanze.
+ 10% per l’acquisto online sia di prodotti elettronici sia di biglietti per spettacoli cinematografici.

Nel complesso, i prodotti più acquistati sul web sono biglietti di viaggio (54%), pacchetti vacanze (42%), libri (40%), biglietti per concerti/teatri/festival (38%), abbigliamento (33%) e prodotti elettronici (33%).

LA PROPENSIONE AGLI ACQUISTI PER SESSO
Esiste una differenza piuttosto marcata nella tipologia di acquisti effettuati tra i due sessi.
Donne: risultano più orientate all’acquisto di prodotti abbigliamento (40% vs. il 27% degli uomini) e pacchetti vacanze (46% vs. il 38% degli uomini)
Uomini: acquistano on line soprattutto dispositivi high tech (39% vs. il 27% delle donne) e CD (25% contro il 20% delle donne).

GLI ACQUIRENTI ON LINE, UTILIZZATORI ASSIDUI DEL WEB
L’84% degli acquirenti online ha una connessione a banda larga e mediamente utilizza Internet 5,7 giorni alla settimana, dedicando una media di 12,3 ore alle attività online. Oltre la metà degli utenti internet (51%) accede alla rete quotidianamente.

fonte: spazioimpresa.biz

Fcp-Assointernet: la pubblicità crede negli sms

L’Osservatorio Fcp-Assointernet ha reso noto che l’andamento delle sponsorizzazioni nel primo mese del 2008, rispetto allo stesso mese del 2007, ha registrato un incremento totale del 37%.

Considerando ogni tipologia di prodotto, l’analisi ha rilevato che  Ad banners e Sponsorizzazioni e bottoni sono cresciute entrambe del 25%,  la voce Altre tipologie ha presentato un incremento del +72%, la tipologia Sms ha ottienuto un +184% . Si è registrato, inoltre, un incremento di E-mail/Newsletter (20%) ed una crescita anche per la voce Keywords (12%).

fonte: quomedia.diesis.it

La pubblicità sul cellulare inizia a conquistare

Sale il numero di utenti Usa che si lascia tentare dalla pubblicità sul telefonino, senza sentirsi invaso. Lo dice l’ultimo rapporto Nielsen.

Investire o non investire nel mobile advertising? Questo è l’interrogativo ricorrente da qualche tempo, mentre analisti ed esperti da un lato prevedono una crescita del settore e dall’altro continuano a constatare una sostanziale immaturità di questo bacino di utenza. Ora forse è la volta buona: la gente guarda e legge attentamente i messaggi pubblicitari che arrivano sul cellulare e spesso richiama. Insomma per la maggior parte non li ignora né si sente più di tanto violata nella propria privacy.

Google AdSense, lo strumento che ha rivoluzionato il mondo della pubblicità online, è entrato anche nel mondo dei telefonini e Microsoft strizza l’occhio all’advertising mobile, con un’iniziativa che lancia dei mini banner formato cellulare. Insomma, dopo e nonostante tanto parlarne e tante critiche, la pubblicità via cellulare dimostra di resistere come modello alternativo e di avere sempre più probabilità di decollo. Fino ad ora operatori e provider si sono dimostrati esitanti nell’investire troppo su questa formula, alternando iniziative in questa direzione con momenti di ripensamento, anche per il timore che gli spot sul telefonino possano essere troppo invasivi e suscitare un effetto controproducente. L’ultimo rapporto di Nielsen Mobile, che traccia le abitudini e le percezioni degli utenti di telefonia mobile, è però molto chiaro a riguardo: la gente comincia a farci l’abitudine e se nel secondo trimestre del 2007 solo 42 milioni di utenti reagivano alle pubblicità mobili, nel primo trimestre del 2008 la cifra raggiunge i 58 milioni.

L’inversione di tendenza è clamorosa e si parla di un 23 per cento di tutti gli utenti mobili che nell’ultimo mese si è soffermato sulla pubblicità ricevuta via cellulare, di cui la metà ha addirittura risposto ai messaggi ricevuti. Del resto ormai una percentuale crescente di americani naviga via telefonino e il tasso di crescita di coloro che usano l’Internet in piedi grazie alla banda larga è aumentato nel primo trimestre del 2007 del 154 per cento rispetto allo stesso periodo del 2006 secondo un’indagine targata ComScore. Si tratta dunque in generale di un aumento di confidenza con il telefono mobile, di cui la gente inizia ad accettare anche il lato meno telefonico. E’ naturale che un mezzo divenuto ormai sempre più strumento di fruizione di vari contenuti si dimostri anche un efficace veicolo pubblicitario. Secondo altre stime recenti firmate ABI Research entro il 2011 gli investimenti pubblicitari nel settore mobile sfioreranno la cifra dei 19 miliardi di dollari.

fonte: visionpost.it