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Microsoft pronta a rivoluzionare il web advertising

La società di Redmond sta per lanciare un nuovo servizio per mettere in contatto inserzionista e utenti

La pubblicità online, secondo i piani di Microsoft, è a una svolta. La società di Redmond ha, infatti, annunciato che sta testando un nuovo tool per misurare la pervasività del web adevertising sugli utenti. Il servizio, nome in codice “Engagement Mapping”, punta a creare un nuovo standard per cogliere tutte le interazioni online che inducono un consumatore ad acquistare un prodotto. Ad oggi, tra i clienti e i soci che hanno firmato un accordo sono Citi Cards e Initiative Media. Secondo gli addetti ai lavori la nuova idea è frutto del know how di aQuantive, società di marketing online acquistata da Microsoft l’anno scorso per 6 miliardi di dollari.

fonte: itnews.it

Le idee per ripensare la TV nella rete

Dal declino attuale alle prospettive di sviluppo nel segno dell’interattività e del l’integrazione con internet. Dall’evento Cisco Expo, gli spunti per capire il futuro della televisione.

A prima vista può sembrare strano parlare di televisione in un evento dedicato ai professionisti delle reti. Ancor più strano parlarne con un esperto che non si chiama Maurizio Costanzo o Pippo Baudo.

Gaetano Pellegrino è il responsabile dell’Internet Business Solutions Group (IBSG) di Cisco, una sorta di centro studi interno della società a cui collaborano consulenti e docenti universitari a livello internazionale con lo scopo di studiare i nuovi utilizzi delle tecnologie e il loro impatto su business e consumatori.

Il Gruppo di Pellegrino ha presentato al Cisco Expo il risultato di una ricerca secondo la quale il 90% degli utenti europei della banda larga vorrebbe disporre di un servizio di ‘connected life’, ossia della possibilità di accedere a contenuti digitali ovunque e nei momenti voluti. Qualcosa quindi di molto diverso dai box da salotto che conosciamo.

I dati rilevano inoltre come, tra gli utenti di servizi ADSL/broadband italiani (circa 30%), sia oggi diffusa la fruizione di contenuti video tramite la rete, con ben 21 ore passate online per settimana, contro le 11 passate davanti alla TV. In molti casi anche una fruizione contemporanea dei due mezzi, per esempio, per scambiare opinioni in chat con gli amici.

Cosa significa? “Significa che devono cambiare radicalmente modi di fare televisione, a cominciare dalla pubblicità”, spiega Pellegrino. Aspetto quest’ultimo più che mai importante in Europa, dove gli utenti non hanno l’abitudine alla cable TV e quindi a pagare direttamente per ciò che vedono (lo facciamo attraverso la pubblicità e ‘ahinoi’ un sovrapprezzo sui prodotti che consumiamo!).

“Stiamo completando un nuovo studio su questo argomento – spiega Pellegrino -. Molti consumatori sarebbero disposti a condividere alcune informazioni personali a fronte di una pubblicità più mirata, che non li martelli su cose di cui non hanno alcun interesse. Se sono un single maschio, per esempio, posso gradire la pubblicità delle mountain bike di cui sono appassionato, ma non quella degli assorbenti intimi!”

Non sono aspetti trascurabili. La pubblicità in TV, che vale circa la metà degli 8 miliardi di Euro spesi in Italia, ha smesso di crescere. Per contro, la pubblicità su Internet, che viaggia su un ordine di grandezza inferiore, è aumentata in un anno del 43%.

“Non può essere un singolo dispositivo a cambiare le cose, ma la rete che deve avere l’intelligenza necessaria per darmi i contenuti che desidero in tv, sul telefonino, come su qualsiasi schermo in casa, come fuori casa. La customer experience è diversa a seconda delle situazioni: ci dovranno quindi essere contenuti e pubblicità da poltrona, da desktop PC, da telefonino, ecc”.

Vedremo pubblicità meno invasive collaterali, per esempio, alla trama di una fiction. “Non un banner che scorre, ma immagini linkate. Se clicco sulla scarpa di un personaggio potrei ottenere informazioni contestuali come marca e modello, informazioni sul prezzo e la proposta d’acquisto. Alla fine dell’episodio potrei tenere traccia degli appunti presi a fini commerciali.

Probabilmente continueremo a vedere le partite in poltrona con gli amici, ma mi aspetto che le società di produzione inventino nuovi modi per fare spettacolo, tenendo conto dell’interazione. L’importante è che la produzione televisiva sappia unire le diverse componenti e la rete sia usata come aggregatore di contenuti multimediali e come mezzo per raggiungerli quando e come il consumatore preferisce”.

fonte: theinquirer.it

Le idee per ripensare la TV nella rete

Dal declino attuale alle prospettive di sviluppo nel segno dell’interattività e del l’integrazione con internet. Dall’evento Cisco Expo, gli spunti per capire il futuro della televisione.

A prima vista può sembrare strano parlare di televisione in un evento dedicato ai professionisti delle reti. Ancor più strano parlarne con un esperto che non si chiama Maurizio Costanzo o Pippo Baudo.

Gaetano Pellegrino è il responsabile dell’Internet Business Solutions Group (IBSG) di Cisco, una sorta di centro studi interno della società a cui collaborano consulenti e docenti universitari a livello internazionale con lo scopo di studiare i nuovi utilizzi delle tecnologie e il loro impatto su business e consumatori.

Il Gruppo di Pellegrino ha presentato al Cisco Expo il risultato di una ricerca secondo la quale il 90% degli utenti europei della banda larga vorrebbe disporre di un servizio di ‘connected life’, ossia della possibilità di accedere a contenuti digitali ovunque e nei momenti voluti. Qualcosa quindi di molto diverso dai box da salotto che conosciamo.

I dati rilevano inoltre come, tra gli utenti di servizi ADSL/broadband italiani (circa 30%), sia oggi diffusa la fruizione di contenuti video tramite la rete, con ben 21 ore passate online per settimana, contro le 11 passate davanti alla TV. In molti casi anche una fruizione contemporanea dei due mezzi, per esempio, per scambiare opinioni in chat con gli amici.

Cosa significa? “Significa che devono cambiare radicalmente modi di fare televisione, a cominciare dalla pubblicità”, spiega Pellegrino. Aspetto quest’ultimo più che mai importante in Europa, dove gli utenti non hanno l’abitudine alla cable TV e quindi a pagare direttamente per ciò che vedono (lo facciamo attraverso la pubblicità e ‘ahinoi’ un sovrapprezzo sui prodotti che consumiamo!).

“Stiamo completando un nuovo studio su questo argomento – spiega Pellegrino -. Molti consumatori sarebbero disposti a condividere alcune informazioni personali a fronte di una pubblicità più mirata, che non li martelli su cose di cui non hanno alcun interesse. Se sono un single maschio, per esempio, posso gradire la pubblicità delle mountain bike di cui sono appassionato, ma non quella degli assorbenti intimi!”

Non sono aspetti trascurabili. La pubblicità in TV, che vale circa la metà degli 8 miliardi di Euro spesi in Italia, ha smesso di crescere. Per contro, la pubblicità su Internet, che viaggia su un ordine di grandezza inferiore, è aumentata in un anno del 43%.

“Non può essere un singolo dispositivo a cambiare le cose, ma la rete che deve avere l’intelligenza necessaria per darmi i contenuti che desidero in tv, sul telefonino, come su qualsiasi schermo in casa, come fuori casa. La customer experience è diversa a seconda delle situazioni: ci dovranno quindi essere contenuti e pubblicità da poltrona, da desktop PC, da telefonino, ecc”.

Vedremo pubblicità meno invasive collaterali, per esempio, alla trama di una fiction. “Non un banner che scorre, ma immagini linkate. Se clicco sulla scarpa di un personaggio potrei ottenere informazioni contestuali come marca e modello, informazioni sul prezzo e la proposta d’acquisto. Alla fine dell’episodio potrei tenere traccia degli appunti presi a fini commerciali.

Probabilmente continueremo a vedere le partite in poltrona con gli amici, ma mi aspetto che le società di produzione inventino nuovi modi per fare spettacolo, tenendo conto dell’interazione. L’importante è che la produzione televisiva sappia unire le diverse componenti e la rete sia usata come aggregatore di contenuti multimediali e come mezzo per raggiungerli quando e come il consumatore preferisce”.

fonte: theinquirer.it

Pubblicità: gli inserzionisti cominciano ad abbandonare la tv tradizionale

Secondo uno studio della ANA il 62% delle principali aziende Usa sono convinte che gli spot in tv non funzionano più – Previsto un calo degli investimenti del 12%, mentre l’87% degli interpellati pensa di rivolgersi seriamente al mondo del web

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Lo spot televisivo tradizionale ha perso nettamente il suo potere di seduzione mentre gli uomini del marketing e della pubblicità delle grandi e piccole aziende bramano alla ricerca di alternative.

Il quarto Rapporto biennale della Association of National Advertisers e della Forrester Research – spiega un articolo di Advertising Age – mostra una drammatica perdita di fiducia nel mezzo televisivo e rivela una industria fortemente impegnata nell’ esplorazione di nuovi format pubblicitari e nuove forme di video commerciali.

Secondo questo studio, il 62 per cento delle aziende interpellate – 78 grandi nomi del settore – ha dichiarato che gli spot in tv non funzionano a sufficienza, non abbastanza in ogni caso da giustificare i relativi investimenti. Da almeno due anni a questa parte, secondo la loro percezione, avrebbero perso il loro appeal.

D’ altra parte il panorama dei telespettatori – rileva fra l’ altro su Visionpost Serena Paterno – diventa sempre più frammentato. C’è chi si rivolge ai canali satellitari a pagamento, chi si dà alla tv on demand e chi sempre di più guarda film sul lettore di casa, scegliendo dal proprio patrimonio personale o attingendo dal web. Risultato: si prevede un calo del 12 per cento negli investimenti.

Per quanto riguarda il futuro, tutti guardano alla rete. L’87 per cento degli intervistati pensa seriamente di rivolgersi al mondo del web, sia per investimenti che per nuove ispirazioni.

fonte: lsdi.it

SBRAUS.com sceglie smsAd.it nel proprio marketing mix pubblicitario

Sbraus.com è il portale nazionale di annunci e vendite online gestito dalla Sbraus S.R.L. di Brescia.
Il servizio consente la pubblicazione gratuita di annunci, in 38 categorie, con possibilità di ricerca per keyword.
Tra i servizi aggiuntivi opzionali, al momento riservati ad aziende operanti nei settori immobiliari e dell’auto, la possibilità di disporre di ulteriore visibilità e di consulenza tecnica specializzata.

smsAd.it ha messo a disposizione la propria piattaforma pubblicitaria per il lancio del sito sbraus.com che consente alla Sbraus srl di conoscere in tempo reale, grazie ai tracciati statistici, il ROI dell’investimento pubblicitario.

» SBRAUS.com

» smsAd.it

E chi si fida della pubblicità?

Noi comunicatori ce la siamo cercata… ovviamente insieme alle aziende.

Dal Trust Barometer 2008 di Edelman, risulta che la credibilità della pubblicità è bassina…

“In particolare, per quanto riguarda l’Italia, il “barometro della fiducia” rileva che la fonte di informazione più attendibile per le élite culturali sono gli articoli dei periodici economici (63%), più ancora degli analisti di Borsa (53%).

All’ultimo posto, la pubblicità, gli atleti e gli intrattenitori (spesso l’effetto si somma visto che a volte la pubblicità utilizza come testimonial sportivi e intrattenitori).

Interessante notare come i blog (23%) abbiano perso di credibilità nei confronti dei CEO delle aziende (31%). Ma sono soprattutto le persone di pari livello (“la gente come me”) a collocarsi molto in alto nella fiducia (53%), al pari degli analisti.”

fonte: mymarketing.it

Consigli per le vendite

” Oggi non basta realizzare un buon prodotto per avere la garanzia del successo.

Le imprese – in particolare le medie e le piccole – devono farsi conoscere, e devono far conoscere i loro prodotti.

In altre parole devono fare della buona comunicazione avvalendosi della collaborazione di ottimi professionisti e di agenzie qualificate. ”

fonte: Maurizio Costanzo

Microsoft e la pubblicità online: una scommessa da un miliardo

Microsoft e i servizi Internet. Il tema è inflazionato ma per il colosso di Redmond il definitivo salto di qualità nell’universo del World Wide Web è una delle priorità in agenda. La possibile fusione con Yahoo rimane al centro delle attenzioni ma ciò che preme alla società è anche ricordare al mercato che Windows Live (lanciato nel novembre del 200) è una piattaforma di software e di servizi on line che non è nata per caso e che l’obiettivo di riunire in un unico luogo relazioni e informazioni di milioni di utenti è un “work in progress” non varo di risultati. Gli utenti di Windows Live nel mondo sono infatti circa 45 milioni e oltre 460 milioni sono invece gli utenti che transitano ogni mese sul portale Msn e ne utilizzano i programmi di instant messagging (Messenger) e di posta elettronica (HotMail) e il motore di ricerca (Search).
In questo quadro, anche i vertici italiani della divisione Online Services Group, quella che il colosso del software ha messo in pista per sviluppare la propria strategia on line in ambito consumer e in cui sono confluiti i marchi Msn, Windows Live e Digital Advertising Solutions (la concessionaria pubblicitaria), hanno pensato bene di rimettere a fuoco scenari di mercato e sciorinare l’ampio catalogo di proposte targate Microsoft. Partendo da due premesse di fondo. La prima, che chiama in causa gli uomini di marketing in azienda, rimarca come il digitale sia lo strumento ideale per estendere l’esperienza di un marchio attraverso i suoi contenuti contribuendo ad un processo di “personificazione” del marchio stesso. La seconda, più pragmatica, sottolinea come Internet sia l’unico media (unitamente a Tv, radio, carta stampata e cinema) a crescere rispetto al passato e quello fra i più utilizzati dai consumatori nell’intero arco della giornata.

L’offerta Digital Advertising Solutions, in Italia, abbraccia un po’ tutti gli ambiti dell’advertising on line e il biglietto da visita che esibisce è il numero di persone che va a raggiungere attraverso il proprio network digitale (Windows Live Spaces, la piattaforma di blog con 5,4 milioni di utenti unici, compresa): oltre 15 milioni. Un target ampio che, dicono i responsabili della divisione, non può non attrarre investitori che hanno nel mercato consumer (e i giovani fra i 25 e i 34 anni in particolare, la fascia di utenza più consistente del Web) il loro sbocco commerciale principale. L’offerta per le aziende del BelPaese di compone quindi di strumenti ormai consolidati come i banner pubblicitari e le finestre di advertising di Windows Live Messenger, di strumenti evoluti di grande risonanza come i micro siti “co-branded” (M&M’s, CocaCola e Renault Twingo i marchi che hanno sposato questa soluzione) e di prodotti/servizi di nuova generazione. Fra questi l’in-game advertsing (e cioè spazi pubblicitari inseriti nelle sessioni di gioco on line) e soluzioni avanzate di display advertising, a cominciare dai sistemi di advertising virale legati a Windows Live Messenger). Senza dimenticate che l’investimento in Facebook ha permesso a Microsoft di allargare a livello globale l’accordo in esclusiva già in essere sulla concessione degli spazi pubblicitari su una delle piattaforma di social networking più gettonate nel panorama del Web 2.0.
Tutto per conquistare, al di là della probabile scalata a Yahoo, fette significative in un mercato, quello del digital advertising, che negli Usa è cresciuto nel 2007 del 27% arrivando a superare (i dati sono di Idc) quota 25 miliardi di dollari e che in Europa (la fonte è Iab Europe) ha toccato invece gli 11,5 miliardi di euro con una crescita del 38% rispetto al 2006. L’Italia, con un volume d’affari nella pubblicità via Internet di 280 milioni di euro che potrebbero quadruplicare oltre la soglia del miliardo a fine 2008, è uno dei Paesi in cui Microsoft vuole fare la parte del leone.

fonte: ilsole24ore.com

Una imminente rivoluzione nella pubblicità

Attraverso i social network e la costruzione di profili individuali (behavioral targeting) i providers di internet potranno scavalcare i tradizionali editori online e “vendere” gli utenti direttamente agli inserzionisti – L’ attuale modello della pubblicità sul web diventerà sempre meno efficace, a favore della pubblicità diretta e individuale – Esther Dyson, una addetta agli investimenti per alcune importanti società Usa, spiega perché e come in un articolo su Wall Street Journal online.

Mentre i big dell’ informazione online sono concentrati su Google, Yahoo e Microsoft, una rivoluzione molto più profonda si sta affermando sui siti del social networking. Il quadro del dibattito sulla privacy dovrà modificarsi ora che gli utenti cominciano a prendere il controllo dei propri dati online. Allargando la loro presenza sul web questi internauti non si preoccupano tanto della privacy in sé, quanto con quali individui hanno a che fare – se si tratta di amici o di venditori. E questo potrebbe cambiare l’ intero mondo della pubblicità.

L’ attuale modello di pubblicità-online diventerà meno efficace, anche se sarà sempre più sofisticato. Stanno emergendo nuovi protagonisti che finiranno per togliere progressivamente valore agli spazi per cui stanno ora combattendo i giganti della pubblicità.

Aziende di cui non avete mai sentito parlare, come NebuAd, Project Rialto, Phorm, Frontporch e Adzilla, stanno mettendo a punto dei nuovi strumenti per i provider di internet che consentiranno loro di “tracciare” gli utenti e di mettere in campo inserzioni molto mirate.

Questo approccio (chiamato “behavioral targeting” – identificazione comportamentale – è già in funzione in alcuni network che “tracciano” i propri utenti attraverso dei cosiddetti “tracking cookies”) scavalca i tradizionali editori online, che utilizzano determinati contenuti per sedurre gli utenti e vendere loro gli spazi per le inserzioni. Ora, invece possono essere direttamente gli Internet service provider (ISP) a vendere agli inserzionisti l’ accesso diretto ai loro utenti.

Prendete per esempio un utente che vuole comprare una macchina e vede una inserzione della Porche. Oggi come oggi non è importante se va su Yahoo o su MySpace. Ma un domani, come inserzionista preferiresti raggiungere qualcuno che ha letto qualcosa genericamente su Yahoo o qualcuno che invece ha visitato due siti specifici di auto? La sua identità è privata. L’ IP e il network di behavioural targeting non conoscono il suo nome e non gli interessa. Ma sanno molto bene che cosa questo utente vuole davvero.

Il mercato tradizionale diventerà sempre più competitivo e gli utenti verranno tempestati da una pubblicità a cui rivolgeranno sempre meno attenzione. Anche se le inserzioni saranno sempre più interessanti, gli utenti saranno sempre di meno in sintonia con i loro contenuti.

Ora considera invece il nuovo mondo dei social network. Facebook, volente o nolente, ha insegnato alla gente a gestire i propri dati da sola. Il lancio di Beacon Service – che informa Facebook sull’ attività dei suoi membri (acquisti, ecc.) – è stato un grosso fiasco, ma intanto ha fatto familiarizzare milioni di persone con il concetto che esse possono controllare le informazioni che le riguardano e determinare a chi esse possono essere visibili.

Quello che per i più anziani poteva sembrare un orribile e noioso compito  – dividere per categorie, gestire i feed informativi, maneggiare le intersezioni dei contatti fra le comunità – suona naturale oggi agli utenti di Facebook. Che vogliono una maggiore densità di controlli, non di meno.

Ciascun utente determina quindi chi potrà entrare nel suo giardino, se amici o venditori. Guardate per esempio Dopplr (su cui penso che investirò), un sito per viaggiatori. Elenco i miei viaggi e loro li “intersecano” con quelli dei miei amici.  ”Ehi, dovremmo essere insieme a Londra il 4 aprile. Ci andiamo assieme?”. Oppure: “Juan e Alice saranno in città martedì prossimo. Li invitiamo a cena!”. Puoi immaginare approcci analoghi per i libri, l’ abbigliamento, ecc.

E allora, quale sarà il business model? Io entro in contatto con British Airways e loro mi dicono: “Scusa, vediamo che il mese prossimo andrai a Mosca. Se voli via Londra ti regaliamo 10.000 miglia extra”. Non vengo inserita nei pacchetti dei viaggiatori frequenti, la mia privacy è assolutamente protetta. Sono un individuo che ha un particolare piano di viaggio, che rendo visibile intenzionalmente a dei venditori che mi piacciono. British Airways, naturalmente , pagherà a Dopplr una percentuale per avermi consentito di contattarla, mentre un giorno potrebbe comparire NetJets offrendo a me e ai miei amici di trasportarci a una conferenza a cui siamo stati invitati tutti.

Mi farebbe molto più piacere rispondere a BA o a NetJets attraverso un sito fidato, piuttosto che guardare la loro pubblicità leggendo su un giornale un articolo sui problemi della Russia.

Il nuovo modello crea un ambiente fiduciario molto più sensibile (…). Io sono esperta di viaggi. I miei amici possono rivolgersi a me per scegliere l’ albergo. Quando ho voglia di comprare un libro o un nuovo computer, posso andare a guardare su Facebook che cosa stanno facendo in questi settori i miei amici.

Tutto questo non significa che la tradizionale pubblicità online sparirà, ma solo che diventerà meno efficace. Il valore verrà creato nei giardini riservati degli utenti che li coltiveranno nei complessi residenziali dei social network. I nuovi creatori di valore sono quelle aziende – come Facebook o Dopplr – che sanno come costruire e sostenere le comunità online.

fonte: lsdi.it

Social network, l’entusiasmo si raffredda

Persino Google fa sapere di aver guadagnato meno del previsto dagli annunci sparsi nei siti social. Fenomeno indiscusso del 2007, i social network, dopo una crescita quasi esponenziale stanno registrando qualche cedimento e non appaiono più la terra promessa dell’advertising online. Il rallentato aumento degli iscritti si combina con una significativa flessione degli utenti attivi e la propensione ad abbandonare queste comunità online. Troppo presto ancora per dire se la bolla dell’Internet sociale stia per scoppiare ma i dati di ComScore, società per le ricerche di mercato sul web, sul numero di visitatori e il tempo trascorso sui principali siti social statunitensi confermano lo sgonfiamento. Se è vero che nel 2007 complessivamente sui 7 siti monitorati, gli utenti sono stagnanti, circa + 5% (ben lontani dalle percentuali di crescita a due cifre), è altrettanto vero che il tempo medio di permanenza sulle pagine dei siti social si è ridotto (4,5%). Il leader MySpace, rilevato nel 2005 da Murdoch, registrava lo scorso ottobre un picco di 72 milioni di utenti per chiudere invece l’anno con 68,9 milioni: praticamente stazionario rispetto a novembre. Più allarmante l’andamento del tempo medio di presenza: dai 234 minuti di dicembre ‘06 si è piombati un anno dopo a 179 minuti. E’ stato il picco più basso dell’anno, con una flessione del 8,5% rispetto al mese precedente equivalente sull’anno a un calo del 24%. Il disinnamoramento non è circoscritto a MySpace ma generalizzato.
Anche il fenomeno dell’anno: Facebook, che Microsoft si è aggiudicato per 240 milioni di dollari, ha il fiato corto malgrado abbia registrato la migliore performance di crescita (80%) totalizzando 35milioni di utenti. Eppure nel corso dell’anno il tempo per tessere relazioni online è scivolato da un picco di quasi 200 minuti registrati a febbraio a 169 minuti di dicembre equivalenti a un’erosione del 10% sull’arco dell’anno. Nel giro degli ultimi tre mesi dello scorso anno si è ridotto di un quarto i tempi di socializzazione per gli iscritti a Bebo.com mentre nello stesso periodo il tempo trascorso dagli utenti sul sito Friendster è precipitato quasi del 75%.
Per John Riedl professore d’informatica all’università del Minnesota, tra le ragioni della disaffezione per i social network il moltiplicarsi di servizi di nicchia sempre più mirati. Nascono quelli destinati per chi ama viaggiare, così come piattaforme pensate solo i viaggiatori d’affari: «Facebook contiene applicazione per viaggiatori ma non sono confrontabili con un sito che aggrega esclusivamente globetrotter».
E’ presto per dire se la situazione riscontrata negli Stati Uniti sia l’effetto di un processo di selezione naturale che si riflette anche sul resto del mondo. E’ certo però il raffreddamento degli inserzionisti nei confronti del fenomeno più noto del web 2.0. La pubblicità online, prima vittima, è accusata di essere l’artefice del declino. Secondo Business Week gli investimenti pubblicitari, che pure sono cresciuti tra il 2006 e il 2007 fino a 1,2 miliardi di dollari, conosceranno adesso un momento di rallentamento, anche perché finora il tentativo di rendere redditizi questi siti (l’unico modo è la pubblicità) ha scontentato i gestori dei siti di social network, e paradossalmente anche i frequentatori perché non gradiscono di vedere le “loro” pagine inzeppate di pubblicità. Tollerate nelle pagine di notizie o intrattenimento, le inserzioni non sono invece bene accolte, se non ignorate, quando si è impegnati a curare e intrecciare relazioni. Lo conferma lo smacco di Beacon, la piattaforma pubblicitaria introdotta su Facebook che riportava sul profilo dell’utente informazioni relative allo shopping online. Se un iscritto al network fondato da Mark Zuckerberg, acquistava l’ultimo libro di Isabel Allende l’informazione veniva automaticamente inserita nella sua pagina e girata anche su quelle dei suoi contatti. La metamorfosi in un gigantesco tabellone di “consiglio di un amico” ha provocato un’agguerrita sollevazione che ha spinto Facebook a sospendere il servizio nel giro di un paio di settimane. Meno clamoroso ma altrettanto significativo l’anemico tasso di risposta ai link sponsorizzati: solo lo 0,04% contro lo 0,2% nel resto del web. Poco ricettivi a promozioni e sponsorizzazioni tradizionali, ciononostante le reti sociali sono entità tutt’altro che trascurabili dal marketing aziendale. Uno studio condotto in Gran Bretagna da Hitwise sul rapporto tra social networking e marchi ha concluso che, quando spontaneamente una comunità appoggia o censura un prodotto o comportamenti aziendali, l’esito si fa sentire ben oltre la realtà virtuale.

fonte: repubblica.it