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Il marketing in tempi di crescita zero

Una notizia di pochi giorni fa: per la prima volta dal dopoguerra l’Italia è a crescita zero.
Nessuno può prevedere il futuro, ma alcune ipotesi possiamo farle, circa i cambiamenti che ci attendono.
Intanto non è una crisi passeggera,  ma “strutturale”, cioè qualcosa da tenere a lungo, forse irreversibile, per alcuni paesi.
Le leggi economiche sulle quali basavamo il nostro sviluppo non sono più valide, e non lo sono mai state, perché era evidente, sin dagli albori del capitalismo, che una crescita infinita non era fisicamente concepibile. Ma la politica è incapace di piani lungimiranti, ispirati  ad una rigorosa gestione delle risorse, perché l’impopolarità di leggi austere spazzerebbe via il governo che le proponesse.
Una delle migliori potenzialità dell’intelligenza umana è la capacità di prevedere i disastri, ma, individualmente, e ancor meno collettivamente, ciò non sempre porta ad agire coerentemente per scongiurarli. Siamo capaci anche di grandi sacrifici, ma solo nell’emergenza.
Potremmo ancora limitare i danni delle crisi economiche che stanno per pioverci addosso, allontanarci dalla spiaggia che subirà lo tsunami,  ma non c’e nulla da fare, dovremo subirlo in pieno, per finire sotto le baracche che abbiamo costruito.
C’è di più: chi osa fare previsioni infauste è un “uccello del malaugurio”, un  menagrama, sempre impopolare, da scacciare.
Chi lavora nel settore della comunicazione e del marketing, dovrebbe essere fra i primi a fiutare i cambiamenti, è il suo mestiere. Eppure, dagli articoli che leggo su questo sito, c’è gente che continua a danzare mentre il Titanic affonda.
Vediamo cosa potrebbe cambiare nel marketing, il settore che “scienza delle comunicazioni” cura maggiormente, e su esso prepara i suoi laureati.

Nel percorso che va dalla produzione alla vendita di un prodotto, il marketing occupa un posto nella fase finale, di commercializzazione. In futuro, avrà ancora ragione di esistere? In che misura si ridimensionerà?
La crisi ambientale, dovuta all’espansione demografica e consumistica dell’umanità, condizionerà sempre più pesantemente la qualità della vita, obbligandoci a cambiare radicalmente le nostre abitudini di consumatori.
Esaurimento delle risorse e trattamento dei rifiuti sono punti crucciali di questi cambiamenti, che coinvolgeranno un po’ tutti: produttori, consumatori, servizi.
Qui intendo occuparmi di alcuni aspetti del marketing e di un settore ad esso collegato: il packaging.
La formula che regola l’esistenza di una specie è assai elementare: se ha cibo cresce numericamente, l’ambiente ed i nemici naturali ne condizionano l’evoluzione.
La scienza ha permesso all’uomo di sfuggire ai suoi nemici naturali, limitando la selezione del più adatto alla sola lotta per la sopravvivenza fra esseri umani, e la storia ci ricorda quanto cruenta essa sia stata, e sarà ancora.
L’altro limite è posto dalle risorse ambientali: non si ha diritto alla vita, come politici, ideologi e religiosi affermano, viviamo solo se ci sono risorse. La crescita demografica avviene a spese delle altre specie, al passo coll’impoverimento ed il degrado ambientale.
S’impone, pertanto, un limite allo sviluppo, limite che dobbiamo definire e imporci al più presto. Un’ulteriore crescita demografica e consumistica, porterà  a migrazioni bibliche ed alle inevitabili guerre etniche, religiose, territoriali, per l’accaparramento delle ultime risorse. Possiamo considerare le guerre che ci attendono come uno spietato strumento della natura, che torna a selezionare, punendoci per la nostra imprevidenza e intemperanza.
E’ una legge fisica semplice ed intuitiva: in un sistema chiuso, come il nostro pianeta, le sono risorse limitate; alcune rigenerabili, grazie all’irraggiamento solare, altre, una volta disperse nell’ambiente o consumate, saranno perdute per sempre. Fra queste le specie animali e vegetali, che hanno contribuito all’evoluzione umana nella varietà degli esseri viventi. Ogni volta che una specie si estingue, è una grave perdita per l’umanità, ed ogni anno migliaia di esse scompaiono.
Esiste un punto, oltre il quale inizia la decrescita. Non ha importanza quanto lontano esso sia, c’è, e dovremo affrontarlo, prima o poi.
Prima iniziamo ad auto limitarci, meno drammatici saranno i cambiamenti per i posteri.
Com’è difficile far comprendere a tutti queste leggi così elementari, ed agire di anticipo. E invece no, dobbiamo sempre aspettare l’emergenza.
Le legge della “domanda e dell’offerta” è una maledizione, perché ci fa ritenere conveniente – e sprecabile – una risorsa solo perché, al momento, è abbondante. E’ un tipico comportamento anti-intelligente.
Il risparmio, in generale, è di per sé una risorsa. Ogni volta che riusciamo a limitare i consumi, è come se trovassimo una nuova miniera.
Non possiamo acquistare petrolio perché troppo costoso? Allora dovremo non solo cercare di risparmiarlo, da subito, passando dal mezzo privato a quello pubblico, ma cercare, al tempo stesso, fonti alternative, possibilmente rigenerabili. Per i rifiuti vale lo stesso principio: più che trovare nuove discariche o costruire nuovi inceneritori, vale produrre meno rifiuti.
Il packaging, ovvero il settore che si occupa dell’imballaggio, dovrà essere profondamente riformato, perché attualmente al primo posto nella produzione dei rifiuti.
E’ un grande distruttore di materie prime: dalla plastica al legno e derivati, ai metalli (si pensi ai miliardi di lattine di alluminio e lamiera ferrosa prodotte).
Ci sarà, in futuro, sempre più la tendenza a riusare i contenitori, per produrre meno rifiuti e ridurre i costi.
Anche il marketing è un contenitore che dovremo quantomeno ridimensionare. In esso c’è la pubblicità, diffusa dai media da essa finanziati: giornali, rotocalchi, televisioni, radio, e tutto ciò su cui si può scrivere il nome di un brand. Berlusconi ha costruito il suo impero mediatico grazie alla pubblicità. La Rai oltre al canone ci carica di spese pubblicitarie; chi paga tutto siamo sempre noi consumatori.
Ogni volta che uno sponsor sta per finanziare qualcosa attraverso la pubblicità, le nostre tasche si svuotano più velocemente, e dalla quarta  passiamo alla terza settimana di penurie. Oltretutto la pubblicità diffonde spesso notizie false, suggestiona, raggira, è terribilmente molesta con i suoi innumerevoli messaggi ripetitivi, sovente di una imbecillità sconcertante. Non migliora il prodotto e ne aumenta il prezzo.
Se andiamo a fare i conti, complessivamente, ogni anno il suo costo vale assai più di una finanziaria, ed è incompatibile mantenerla con le crisi che ci attendono.
Quando paghiamo lo scontrino alla cassa di un qualsiasi esercizio commerciale, non acquistiamo solo la merce di cui abbiamo bisogno, ma sosteniamo tutto questo universo parassita, che dovrebbe cercare finanziamenti in proprio, ma è evidente che non ne troverebbe; può sopravvivere solo grazie al meccanismo diabolico alimentato dal marketing. Fintanto che c’era espansione, floridezza economica, potevamo passarci sopra; ora non più.
Sempre su noi grava il pizzo che i commercianti pagano alle tre sorelle: mafia, camorra e ‘ndragheta; come pure gli esosi interessi versati agli usurai.
Le infiltrazioni mafiose governano la transazione delle merci dal produttore al consumatore, traendo guadagni ad ogni passaggio. Solo così si spiega l’abnorme crescita dei prezzi, aggravatasi in questi ultimi anni, causa l’incapacità crescente dello Stato, pure infiltrato di mafiosi, a governare il fenomeno.

Lo scorso anno, nella sezione “discuti” di questo sito, proposi un articolo sulle acque minerali italiane vendute al pubblico: 10 miliardi i litri imbottigliati, in contenitori di capacità variabile, il cui numero potrebbe aggirarsi intorno a 7 miliardi, fra vetro e plastica (PET). Queste acque minerali sono distribuite anche a migliaia di km dalla sorgente e costano dalle 300 alle 1000 volte in più dell’acqua di rubinetto, senza calcolare i costi per lo smaltimento dei contenitori (dati del 2003).
Sottolineavo l’assurdità di questo comportamento collettivo, che accelera il degrado ambientale, senza migliorare la qualità della vita, strettamente legata all’ambiente. Basterebbe riparare o bonificare alcuni acquedotti, per rendere  superfluo il consumo di acqua minerale in bottiglia.
I periodici esami chimici, mostrano come l’acqua che esce dal rubinetto casalingo sia spesso migliore delle acque minerali, contenendo una minor quantità (anche 10 volte meno) di alcuni metalli dannosi, come arsenico e manganese, rispetto a quella minerale.
Non solo, le acque minerali perdono, nell’imbottigliamento, trasporto ed immagazzinamento, parte delle qualità che avevano alla fonte.
Fatta eccezione per alcune acque oligominerali o ricche di componenti utili alla cura di alcune malattie, non serve bere acqua imbottigliata; è persino dannoso, per un eccessivo accumulo di sostanze minerali nell’organismo.
Leggete l’interessante rapporto:
http://www.ares2000.net/ricerche/scandaloacqua.htm
Già da qualche tempo i telegiornali mostrano come, nel nord Italia, alcune aziende produttrici di latte, ed ora anche quelle di detersivi, usino distribuire al pubblico il prodotto erogato da distributori automatici. Il consumatore deve portare con se il solo contenitore e programmare la quantità voluta pigiando dei pulsanti.
Questo sistema, se diffuso, non solo ci farebbe risparmiare la produzione, ed il successivo accumulo, di milioni di tonnellate di spazzatura, ma taglierebbe via diversi intermediari nella catena di distribuzione, responsabili del quadruplicamento del costo dei prodotti.
Sono esempi di come deve cambiare il nostro modo di ragionare, e la necessità farà virtù, come sempre.
E’ la fine dell’ “usa e getta”. Tutto dovrà essere progettato per il riciclo o per la riparazione. Un automezzo, come un elettrodomestico, possono durare una vita, se si prevede di sostituire le sole parti che si usurano. Occorre ridurre la varietà dei modelli, standardizzando la produzione, al fine di trovare facilmente i pezzi di ricambio, e a basso prezzo.
Alcuni economisti prefigurano, fra alcuni lustri, uno sviluppo del continente africano simile a quello asiatico attuale, cui seguirà un ulteriore aumento dei costi delle materie prime.
Gli economisti, però, raramente consultano gli ecologi e, puntualmente, sbagliano previsioni.
Quanti devono ancora recuperare i risparmi, scelleratamente investiti nella “new economy” ? Per non dire dei crack di grandi aziende, complici banche, revisori inetti, imprenditori corrotti o incompetenti, istituzioni latitanti..
Fra non molto la produzione cinese rallenterà, o quanto meno non potrà più inondare il mondo con merci a basso costo. L’Africa giungerà tardi all’appuntamento con lo sviluppo dissennato, ma questo è un bene.
Sopravvivranno centri commerciali e ipermercati?
Per qualche tempo hanno calmierato i prezzi, e costretto alla chiusura i piccoli esercenti del circondario. Tuttavia, la grande distribuzione presenterà costi crescenti, causa anche  il “condizionamento” dei prodotti, che consiste nel portare in alcuni grandi centri le merci acquistate all’ingrosso, confezionarle, per poi rispedirle, in parte, nei luoghi di origine, con costi notevolmente maggiorati dal trasporto e dal trattamento, che ha il solo scopo di presentare in modo standardizzato il prodotto, di nuovo, senza valore aggiunto.
Ma la gente, non poteva acquistare localmente quei prodotti? E’ uno degli argomenti d’elezione dei “V-day” di Beppe Grillo.
E’ prevedibile che i consumatori cercheranno canali alternativi ai supermercati, proprio perché sempre più a corto di soldi. Basterebbe che i produttori si organizzassero con punti di vendita nei luoghi di produzione, magari con facilitazioni fiscali per chi si consorzia con altri piccoli produttori, in modo da fornire una gamma di prodotti più varia, da vendere sul posto.
Non tutto si può acquistare per questa via, ma certamente servirebbe alle famiglie per rientrare nei sempre più magri bilanci, tartassati dalle speculazioni commerciali della distribuzione.
Concludendo: lo sviluppo sta rallentando drammaticamente; il giocattolo del capitalismo si è rotto.
Sono i limiti della crescita, che perfino alcuni animali intuiscono, evitando di accoppiarsi, quando c’è poco cibo.
Ma l’uomo sovente fa  un uso ideologico o religioso della sua intelligenza. Crede nelle utopie, nei santi, negli oroscopi, nei miracoli: l’anti-intelligenza che massacra la razionalità, che già fatica ad emergere, soprattutto durante le crisi.
La natura però ci fa tornare alla realtà, correggendo, talvolta in modo cruento, i nostri errori.

fonte: comunitazione.it

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