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Il futuro della pubblicità/ La crisi dei quotidiani non deriva soltanto dal calo delle vendite, ma anche dalla distanza dell’advertising dal luogo delle notizie

Una riflessione su alcuni aspetti del futuro della pubblicità viene dal libro appena pubblicato di Bernard Poulet, “La fin des journaux et l’avenir de l’information” (le Débat- Gallimard, 2009). Un bel libro che tocca diversi argomenti di cui varrà la pena parlarne: Social network e condivisone; il drenaggio Usa della ricchezza Internet; L’ideologia di internet, post moderni e post umani; un mondo senza esperti, Google rende stupidi.

Iniziamo dalla pubblicità. La crisi dei quotidiani non deriva soltanto dal calo delle vendite, ma anche dalla scissione o distanza che prende la pubblicità dal luogo delle notizie. Un fenomeno avviato negli anni 2000 secondo Jean-Clément Texier banchiere d’affari già presidente del francese free press Metro. “I quotidiani nazionali non sono più di moda, non sono più un passaggio obbligato” per la pubblicità. La moltiplicazione dei nuovi supporti ha reso sempre più complessa la strategia degli inserzionisti tra i quali cresce il dubbio sull’efficacia dei mezzi stampa, per cui orientano i loro investimenti “fuori media”: nei punti vendita, in attività promozionali,  sponsorizzando grandi eventi, per questo leggere Pascal Joséphe, “La Société immédiate” (Calman-Lévy, 2008).

La concorrenza di internet: nel 1995, 23.500 siti, nel luglio 2007 la società inglese Netcraft ne ha censiti oltre 125 milioni. Nel 2008 irrompe sul mercato pubblicitario la telefonia mobile con 300-400 milioni di dollari nel 2007, ma potrebbe superare i 14 miliardi nel 2011 .
Basta che  Google, Yahoo!, YouTube ecc. distolgano il 10-15 per cento degli introiti pubblicitari alla stampa per farla precipitare; altre fette di pubblicità vanno sui  social netwoork e i videogiochi alcuni sono offerti on line a coloro che accettano di ricevere gli annunci pubblicitari, come i giochi di sport dove ci sono le pubblicità degli stadi e delle tv. Secondo uno studio del 2007 della Goldman Sachs considerato ottimistico, ci vorranno almeno cinque anni perché gli introiti “digitali” dei giornali riescano a compensare le perdite di pubblicità su carta. Ma questa può essere una buona notizia che quanto meno da una speranza alla riconversione se sarà intelligente.

La pubblicità on line, secondo i fondi di investimento americani Veronis Suhler Stevenson, direttore James Rutherfurd , dovrebbe crescere del 20 per cento fino al 2011, 62 miliardi di dollari contro 60 per i giornali e 86 per radio e tv.
Negli Usa l’audience  delle grandi reti tv è scesa del 2 per cento l’anno negli ultimi 10 anni mentre la popolazione aumentava di 30 milioni.  In Francia questo è accaduto per la prima volta nel 2006  e soprattutto  per il target 18-34 anni, il 71per cento di loro trascorre sempre meno tempo davanti alla tv.

“Assistiamo a un inevitabile e lento collasso di tutto il mercato dei mass media”, dice Joseph.D.Lasica presidente di Social Media Group. L’attuale modello pubblicitario si è rott- e questo è molto più pesante come giudizio- perché viene da  Jim Stengel responsabile marketing di Procter & Gamble che investe 5,5 miliardi di dollari di advertising. Mentre Dominique Delport amministratore delegato di Havas Média il grande gruppo pubblicitario francese di cui fa parte l’agenzia RSCG di Jacques Séguéla dice una cosa interessante dal punto di vista tecnico: “È solo questione di tempo prima che tutte le pubblicità diventino digitali, ciò consentirà di reagire molto rapidamente e di inserire spot su richiesta”, cioè comprare spazio tempo pubblicitario alla giornata secondo lo svolgersi degli eventi e la mobilità e mutabilità dei target.

fonte: affaritaliani.it

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