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Pubblicità, l’urgenza di nuovi “veicoli”

Di fronte alla recessione gli slogan pubblicitari rischiano di diventare parole secche come un ramo e tra le aziende emergono ripensamenti sul costo e l’efficacia degli spot. Nel periodo gennaio/novembre Nielsen Media Research parla di investimenti pari a 7,9 miliardi di euro, una flessione del 2,1%. Le grandi marche non possono rinunciare al lancio di nuovi prodotti, ma le aziende mediopiccole che fanno? «Gli imprenditori che non dispongono di 810 milioni per creare sulla tv nazionali la massa critica necessaria al ricordo della marca, vadano sul web. Con 200mila euro realizzano due settimane di flight su Internet e i risultati sono immediati», consiglia Walter Hartsarich, Ceo di Aegis Media, gruppo che compra spazi per 1,4 miliardi, il 16% del mercato. «Nell’ultimo anno abbiamo assunto 52 giovani per sintonizzare i media tradizionali coi nuovi trend e tutti i giorni lottiamo perché gli investimenti vadano a segno. Se Henry Ford all’inizio del XX secolo diceva che il 50% del suo budget pubblicitario andava in fumo, oggi abbiamo in mano le tecnologie per evitare questa dispersione». Tra le banche, per la ricerca di nuovi correntisti, c’è chi sceglie di puntare solo su Internet, come Webank.it (Gruppo Bipiemme) che ha aperto un sito dove offre ai nuovi clienti un interesse del 5%, in fase promozionale, fino al 30 giugno. Anche i Baci Perugina hanno imbroccato la strada dei social network scegliendo Facebook, come racconta Maurizio Sala, direttore creativo dell’Armando Testa Milano, la cui divisione digitale Testawebedv, ha creato un fan club dei Baci che ha 40mila iscritti: «Internet ha una peculiarità: il crowdsourcing, la voce dei navigatori che spesso è molto più convincente di uno slogan». Tra le campagne web del gruppo Testa, anche Banca Generali con Alex Del Piero e Lancia.
Sfruttando il concetto di amicizia di Facebook anche Fineco ha fatto una campagna basata sullo slogan «Se mi presenti un amico e lui diventa cliente guadagni 80 euro». Una catena di S.Antonio? «Non proprio», dice Nicola Mauri, a capo dell’agenzia Olà! che ha gestito la campagna. «Dato che i social network si basano sulle amicizie ci sembrava pertinente applicarlo ad un’azione per acquisire nuovi correntisti». Ma sul web gli spot disturbano meno che in tv? «Sì, perché non prendono tutto lo schermo ma solo una parte. I navigatori accettano gli spot online in cambio di contenuti gratuiti». Se i media tradizionali calano, nei centri media si percorrono nuove strade come l’unconventional advertising, cioè gli eventi, i popup shop che aprono solo per due mesi e poi il vecchio sistema del passaparola. Riprende Hartsarich: «La bevanda energetica Red Bull ha disseminato nei bar testimonial in incognito che commentano positivamente la bibita davanti agli altri clienti». Sono azioni occulte? «No, sono vie alternative che fanno capo al passaparola, come quell’idea del ministero del turismo della Thailandia che d’inverno invita i tassisti di Londra per una vacanza di due settimane con la promessa che poi, i tassisti conversando coi loro clienti per le vie di Londra, parlino benissimo delle spiagge thailandesi». La recessione aguzza l’ingegno e moltiplica le strade per convincere a nuovi acquisti. Anche se ad oggi il gap tra tv e Internet è enorme: se alla prima va il 61% della torta pubblicitaria, al web ne spetta appena il 7%, che alla fine dell’anno potrebbe arrivare al 10% pari ad un miliardo di euro, crisi permettendo.

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